di Silvia Oppezzo
Inizio il mio volo con le Api furibonde con la storia di un’ape che è furibonda per davvero, e ne ha tutto il diritto. Si chiama Elisa Corda, di Casale Monferrato, e in 39 anni la vita l’ha buttata a tappeto tante volte, ma lei si è specializzata nell’arte di ri-nascere per ri-vincere.
È una storia tosta la sua, forse non adatta a persone facilmente impressionabili, ma va raccontata con schiettezza, senza edulcorare. La storia non solo di una persona che ha perso un pezzo di sé – la mano – ma anche di stalking, di mobbing, di esclusione, di tradimenti, di cause giudiziarie, di disastri finanziari. È anche una storia di sport, di forza, di amori, di vittorie. È una storia edificante, è l’esempio concreto che, anche nelle peggiori catastrofi, c’è sempre una seconda possibilità, c’è sempre modo di risollevarsi e ricominciare.
Allora, lasciamoci trasportare da Elisa Corda nella sua storia: bisognerà scendere con lei all’inferno per poi risalire, e poi proseguire, attraverso una serie di altre cadute e risalite.
Chi era Elisa Corda prima?
Voliamo indietro di otto anni. Elisa Corda era un’accanita lavoratrice, già allora persona caparbia e ambiziosa. Lavorava in una ditta che si occupa di consegnare pasti caldi. Era impiegata ma aspirava a diventarne addirittura la direttrice d’appalto. Aveva un suo ufficio, indossava con orgoglio la sua divisa con il nome della ditta, e per quella ditta si spendeva anima e corpo, tempo ed energie.
Poi un giorno, all’improvviso, tutto è cambiato.
L’incidente: l’inizio del cambiamento
Elisa sta lavorando nel suo ufficio. È quasi ora di pranzo. Arriva una chiamata urgente: bisogna consegnare dei pasti caldi ad un centro estivo. Spetterebbe agli addetti mensa. Ma la ditta, in piena estate, funziona con personale ridotto, non c’è nessuno disponibile. Allora, per accontentare insieme la ditta e il centro estivo, sale su un’auto aziendale e si mette alla guida da Alessandria a Spinetta Marengo per consegnare lei stessa i pasti.
La strada è pressoché deserta. Si immette in una grossa rotonda ma nell’uscirne, si accorge all’improvviso di un camion della nettezza urbana che si è immesso senza segnalazioni. È questione di secondi: Elisa capisce che non può fare nulla per evitare lo scontro. Il pensiero va ai genitori: «A quest’ora si stanno mettendo a pranzo, ignari di tutto. Forse non li rivedrò più!» Stringe il volante e affronta l’impatto…
Sopravvive, perfettamente lucida e cosciente mentre l’auto si ribalta e trascina con sé la mano sull’asfalto ruvido. Le immagini sono confuse, lei non capisce bene cosa sta succedendo, ma sente tutto il dolore.
Rimane incastrata in macchina per quaranta interminabili minuti, prima che arrivino i soccorsi e qualcuno riesca ad estrarla. La portano al Pronto Soccorso più vicino, dove viene sottoposta ad un intervento immediato per rimuovere la rimanenza del pollice. Per il resto del pomeriggio rimane parcheggiata nel corridoio dell’ospedale, prima di essere trasferita al CTO di Torino per completare l’intervento. Vi arriva alle 20:00, per sentirsi dire: «Se tu fossi arrivata prima con l’elisoccorso, forse saremmo riusciti a salvare la mano!»
I medici fanno tutto il possibile: prelevano pezzi di gamba, le cuciono la mano sulla pancia…Elisa è fiduciosa di farcela: è quindi un trauma per lei quando le annunciano di non esserci riusciti.
Il buio e la risalita. La lattina di Coca-Cola, la maglietta fluo, la porta-finestra che rimane chiusa
Ho trent’anni, sono piena di cicatrici e senza una mano, la mia carriera è stroncata, sono brutta, non mi vorrà più nessuno… Che faccio?
Nella camera d’ospedale c’è una porta finestra: «Mi butto giù!».
«È un pensiero che può venire in certe situazioni. L’importante è farlo passare, non tradurlo in azione» commenta Elisa.
Che cosa le ha fatto cambiare idea? Perché ha deciso di tenere chiusa quella porta finestra?



La persona che mi ha salvato la vita era una ragazzina affetta da nanismo. È entrata nella mia stanza sulla sua sedia a rotelle per fare visita alla nonna, ricoverata nel letto a fianco. Indossava una maglietta fucsia fluo e litigava con la mamma con la carica di energia di una lattina di Coca-Cola. È stato uno schiaffo morale. Lei su quella carrozzella deve passarci tutta la vita. A me, tutto sommato, manca solo una mano…
Fino a quel momento Elisa si era rifiutata di mangiare, lavarsi, togliere il camice sporco.
Ero pronta a subire altri interventi, a lasciarmi trattare come carne da macello. In quel momento, ho capito che avevo fame, mi sono messa dei vestiti puliti.
Elisa Corda ha trascorso 96 giorni in ospedale. Visite? Solo cinque! A parte la mamma, che è rimasta sempre al fianco. Telefonate? Nessuna! A parte l’ex fidanzato, che la importunava a qualunque ora del giorno e della notte («Perché non lo denunci per stalking?» le avevano suggerito gli psicologi del CTO).
Di tanti colleghi e datori di lavoro della ditta per cui si era spesa, nessuno si è fatto vivo. E, al suo ritorno in ufficio, le hanno riservato un’accoglienza tutt’altro che fantastica e calorosa: cambio di sede – più lontana – applicazione rigida dell’orario di lavoro, una dequalificazione delle mansioni – fare fotocopie e altri piccoli lavori di routine – e battute poco carine. Fa male. Ma Elisa ha deciso che non vuole mollare, che la porta-finestra deve rimanere chiusa per sempre.
Voglia di svolta? Mi iscrivo in palestra! E le svolte diventano più d’una…
Uscita dall’ospedale, Elisa è quanto mai determinata a fare qualcosa per rendere bella la sua vita, per camuffare la situazione: innanzitutto, shopping in via Roma a Torino per acquistare scarpe con il tacco e abiti sgargianti. Poi, decide di iscriversi in palestra!


Non aveva mai fatto sport in precedenza. Ma la palestra è un posto dove può e vuole sentirsi libera, senza dover nascondere le sue cicatrici. Cerca un personal trainer disposto a studiare un piano di allenamento su misura per lei. Lui accetta la sfida. Lei si allena assiduamente. All’inizio, non ha neanche le protesi adatte: il suo trainer le procura in ferramenta dei ganci che si possono adattare ai cavi della sala pesi. Solo successivamente, dopo le vittorie sportive di Elisa, il centro protesi INAIL di Budrio metterà a punto le prime protesi in Italia adatte al sollevamento pesi e al canottaggio.
Inizio e fine di una favola
Quel personal trainer diventa un caro amico, poi compagno e poi convivente. La convivenza è presto coronata da una gravidanza. Elisa è felicissima, le sembra una favola. La sua mente elabora, cerca di dare un senso a tutto quello che le è successo: «Se l’incidente mi ha portato a questo, a trovare il mio principe azzurro, va bene, lo accetto!»
Ma la favola finisce presto. La scadenza del parto è ormai prossima quando lei scopre che lui la tradisce già da quattro mesi! Nel momento della scoperta, Elisa è sul balcone:
Che faccio? Mi butto giù? No!Perché ho in grembo una figlia, e devo insegnarle che se non sei tu la prima a portarti rispetto e a farti rispettare, non puoi aspettarti che gli altri lo facciano per te!
Elisa è caparbia e orgogliosa. Lascia il compagno. Quindici giorni dopo nasce Nina («la cosa più bella che mi sia accaduta»). Dimessa dall’ospedale, Elisa rifiuta l’invito dei genitori a trasferirsi da loro e torna nella casa dove aveva convissuto.
Come può cavarsela una madre da sola? Nel cambiare un pannolino o nell’aprire un vasetto di omogeneizzato? Domande difficili per chiunque, a maggior ragione per lei, con una mano sola. Ma ci prova, impara, ci riesce. «Ogni madre cresce e impara poco alla volta insieme ai figli».

Una promettente carriera sportiva
Nina ha appena compiuto quindici giorni quando l’ex convivente e padre della bambina si fa vivo, con un post su Instagram: parla di paralimpiadi di sollevamento pesi. Perché non provi? È un obiettivo allettante: «Voglio essere quello che non sono mai stata, un’atleta, e voglio raggiungere il tetto più alto, le Paralimpiadi». Elisa si allena con l’ex convivente e partecipa davvero a svariate competizioni: campionati italiani, un europeo e un mondiale conquistando anche diversi record.
Ma lì, ironia della sorte, deve gareggiare in federazioni private con i normodotati! Le gambe sono sane, una mano amputata non basta per essere considerata atleta paralimpica. Il risultato è ottimo, ma è la situazione di contorno a lasciarla amareggiata.
Decide quindi di lasciare la palestra per cercare altri orizzonti. Le si presenta l’occasione per tentare lo sci di fondo. Elisa non ha mai sciato, il raduno nazionale degli atleti cade quindici giorni prima del matrimonio con il nuovo compagno. E lei… va!

Prime difficoltà
Arriva come una turista. Dopo qualche prova fallimentare, prende dimestichezza. Non è ancora pronta per le gare, ma nel frattempo, un collega atleta le propone di candidarsi per il canottaggio.
Elisa ha sempre avuto paura dell’acqua, non ha mai nuotato! Ma è caparbia: si mette in viaggio per presentarsi alla convocazione nazionale, che si tiene a Piediluco, in provincia di Terni.
È imbranata, si sente d’intralcio per gli atleti che si vogliono allenare seriamente. Il canottaggio è uno sport complesso: bisogna coordinare i propri movimenti a quelli dell’acqua. Elisa ha portato le sue protesi, ma quelle sono adatte per il sollevamento pesi, non per remare. Piange ogni giorno per la nostalgia della figlia, soffre di attacchi di panico, le mani sanguinano per le ferite… Ma lei si mette d’impegno anche stavolta e, alla fine del raduno, riceve la sacca e la divisa: “benvenuta in squadra!”


Elisa Corda e i cambiamenti
Il tutto è avvenuto con tempi assurdamente ridottissimi: la convocazione a Piediluco si è tenuta a marzo 2023; a maggio 2023 è a Bled, in Slovenia, in diretta su Raisport; a settembre è a Belgrado per i mondiali, poi punta alle Paralimpiadi 2024.
Nel frattempo, nell’estate dello stesso anno, nasce Alpha11power: inizialmente un canale YouTube, che poi diventa un logo e un’azienda, con l’obiettivo di trovare sponsor per gli atleti paralimpici, coinvolgendo atleti e aziende. Lo sport, infatti, dovrebbe essere inclusione, dovrebbe essere adatto a tutti, ma purtroppo non sempre è così. Gli atleti paralimpici, salvo poche eccezioni, non sono stipendiati, non sono considerati professionisti, devono trovare per proprio conto dei finanziamenti. L’unica possibilità per loro è iscriversi a qualche gruppo sportivo, ma Elisa, a trentanove anni, è ormai fuori età. Per permetterle la realizzazione di questo doppio sogno, il nuovo marito, che lavora come tagliatore di gemme per una ditta di Valenza, si licenzia: la aiuta negli allenamenti e si impegna con lei nella fondazione della nuova azienda.


Di nuovo a terra
Tutto, insomma, sembra andare a gonfie vele…Ma è solo l’inizio di una nuova caduta. Di tanti, tra atleti e sponsor che avevano manifestato interesse, al momento di inaugurare l’azienda, non si presenta nessuno. Ma le spese ci sono, e vanno pagate!
È un problema quando mancano i soldi. Io ero a Piediluco per allenarmi, tre settimane al mese, ma col pensiero a “come pago l’affitto?
Però tiene duro. Le Paralimpiadi rappresentano una speranza, «Se vincessi una medaglia, sarebbe una piccola possibilità di diventare famosa e di far funzionare le cose!».
Alle Paralimpiadi, però, Elisa non ci arriva. Gennaio 2024: dopo otto anni arriva la sentenza del tribunale per l’incidente. Non c’erano telecamere, non c’erano testimoni. Delle due persone alla guida del camion, l’autista ha rilasciato una dichiarazione di comodo, l’altro passeggero invece non ha parlato. Le foto – tre o quattro alla pozza di sangue, una trentina al lato più sano del camion – hanno portato ad una perizia improbabile, sulla base della quale il tribunale ha basato la sua sentenza: responsabilità totale di Elisa Corda. Settantamila euro di spese legali da pagare.
Mi hanno ucciso! Ci hanno ucciso! L’azienda non fatturava. Io sono un’atleta, ma negli atleti, se la testa non funziona, neanche le gambe e le braccia si muovono. Racimolavo a fatica i soldi per gli allenamenti, due volte a settimana a Torino; ma quando ero lì mi venivano attacchi di panico e non concludevo nulla, perché pensavo alle spese da affrontare. Senza contare che non avrò mai più quello che ho perso. Che non è solo le quattro dita o la possibilità di tenere per mano mia figlia o di mio marito. È che la mano che non ho più mi dà continuamente la sensazione di essere schiacciata sotto un rullo compressore: mi fa male e mi farà male per sempre!
Insomma, Elisa interrompe gli allenamenti: di conseguenza, l’unica atleta testimonial di Alpha11power sparisce, e con lei le possibilità di successo dell’azienda.
Si susseguono momenti di tensione in famiglia, che hanno quasi portato al divorzio, perché quando non ci sono i soldi è facile incolparsi a vicenda.
Ma Elisa non vuole rassegnarsi, vuole la verità sull’incidente: insieme al marito e alla madre, si affida ad un altro avvocato e ad un altro perito. La nuova ricostruzione sembra darle ragione. Vale la pena tentare. Ma dove trovare i soldi per un nuovo processo?

Un’ultima pagina, impopolare
E siamo arrivati all’oggi, all’ultima pagina, per ora, di questa storia di cadute e risalite. È la pagina più impopolare. Elisa Corda lo sa bene e l’ha messo in conto. È la pagina della piattaforma che si chiama Only Fans.
È una scelta nata quasi per caso, per battuta. “Hai un bel fisico atletico; metti già le tue foto su Instagram: perché non monetizzarle?” E lei inizialmente pensa che no, non è nel suo stile, non può arrivare a tanto.
Ma poi prende sul serio questa possibilità. È una scelta consapevole, valutata e decisa di comune accordo con il marito, e comunicata insieme alle rispettive famiglie:
Abbiamo voluto essere noi a dirlo, prima che venissero a saperlo da altre fonti, da pettegolezzi; e non abbiamo trovato opposizioni da parte loro.
Alla base di questa scelta c’è la disperazione, indubbiamente. C’è la necessità economica, indubbiamente. C’è anche una componente esibizionistica, che lei dichiara schiettamente di aver sempre avuto. Ma è una decisione presa e annunciata con orgoglio, a testa alta.
Sono piena di cicatrici, ma non mi vergogno di me stessa. E per far emergere la verità sulla mia storia, sono disposta a tutto. Mi metto in gioco in questo modo, fisicamente, come donna, come madre, come moglie. Come donna perché sono sempre stata convinta che non dobbiamo vergognarci di noi stesse, non dobbiamo permettere ad altri di farci sentire sbagliate. Come madre, perché voglio insegnare a mia figlia che per difendere la mia verità, per difendermi dalle ingiustizie, ho messo in gioco tutto. Io sono un contenitore: sono moglie, sono un’atleta, sono impegnata nel sociale, vado nelle scuole a parlare, sono mamma…Sono tutte queste cose insieme e non mi vergogno e le voglio portare con me tutte!»
Sogni e obiettivi futuri
E adesso?
Quest’ultima avventura, per quanto controversa, ha aiutato Elisa Corda sicuramente a far uscire anche il suo lato esibizionistico, ma soprattutto a risollevarsi, a “rinascere per ri-vincere”, per l’ennesima volta. Indossa scarpe col tacco e abiti sgargianti.
Si prende cura di sua figlia, una bellissima bambina di sei anni. Ha riaperto il processo, determinata ad ottenere giustizia. Sta rilanciando il suo marchio, Alpha11power, speranzosa che prima o poi riesca a decollare. Si è iscritta a vari siti, intenzionata a raccogliere donazioni non solo per se stessa ma per tutti gli atleti paralimpici. Ha ripreso ad allenarsi in palestra. Sogna ancora le Olimpiadi? Quali sono i suoi desideri, i suoi prossimi obiettivi per il futuro? La carriera atletica è ancora in standby, ma non la esclude. Le basta al momento aver ripreso ad allenarsi, in futuro, chissà?

Il valore di raccontare la propria storia
Certo, le interessa risollevarsi economicamente, far emergere la verità sul suo incidente, godersi la vita da mamma.
Ma ciò che più le sta a cuore è far conoscere a quante più persone possibili la sua storia. Tiene incontri, va a parlare nelle scuole, non tanto per la speranza di racimolare qualche donazione, ma perché vuole dimostrare a tutti che è sempre possibile rialzarsi, anche dopo le peggiori cadute. Non c’è gioia più grande per lei che sentirsi dire, al termine di un incontro: «Sei stata la mia “lattina di Coca-Cola”, la mia carica energetica», come lo è stata per lei la ragazza in carrozzella con la maglia fucsia fluo.
Ogni volta che racconta la sua storia, Elisa Corda piange, si commuove, prova dolore alla mano che non ha più, ma il suo tono è pieno di grinta. Ogni volta rivive gli stessi ricordi, gli stessi drammi, le stesse soddisfazioni.
Sa bene che nella sua vita dovrà ancora cadere e rialzarsi infinite volte, ma sa che è proprio questo il bello della Vita: ri-nascere per ri-vincere.
Se questa storia ti ha ispirata condividila con altre Api furibonde come te e leggi anche Francesca Dalla Riva e il coraggio di raccontare la fragilità.