di Valentina Evangelista
M’interrogo ogni volta, sulla scelta di scrivere, in questo blog, su una donna che mi abbia ispirata o che rappresenti per me un modello o una traccia istruttiva e stimolante da ripercorrere e approfondire. Nel tentativo di farlo, mi accorgo di attingere spesso, anzi quasi sempre, dal passato. E anche rispetto a questa mia tendenza mi pongo molte domande. Ad esempio, sull’importanza che il passato esercita sulla mia lettura del presente e sul mio saperci stare davvero, in questo presente.
L’unica risposta che so darmi è che, in un certo strano modo, il passato sa infondermi un senso di speranza di cui il presente è del tutto incapace. Sembrerebbe una riflessione amara. Ed è possibile che lo sia. Me lo chiedo anche ora, pensando a Maria Lai. Un’artista che mi ha sempre colpita e commossa. Ha avuto la capacità di immaginare e mettere in atto una forma d’arte concreta, solidale e terapeutica: l’arte relazionale.

L’arte e la relazione tra le persone
L’intuizione potente di Maria Lai di legare l’arte alla relazione tra le persone merita, secondo me, di essere oggetto di riflessione, oggi più che mai. L’aspetto che ho sempre trovato esaltante in questa donna sarda, minuta solo nel fisico, è di non essersi limitata a teorizzare su questa relazione. Maria Lai la mise in pratica. Nel 1981, nel suo paese d’origine, Ulassai, nel nuorese, realizzò una performance collettiva che divenne celebre, Legarsi alla montagna.

Lasciai a ciascuno la scelta di come legarsi al proprio vicino. E così, dove non c’era amicizia, il nastro passava teso e dritto nel rispetto delle parti; dove l’amicizia c’era, invece, si faceva un nodo simbolico. Dove c’era un legame d’amore, veniva fatto un fiocco e al nastro legati anche dei pani tipici detti su pani pintau.
Uno sguardo oltre il passato ed il presente
Maria Lai, seppe guardare ben oltre il passato, dove forse sono bloccata io, e persino oltre il presente che mi riesce così faticoso da interpretare. Seppe predire un futuro che non avrebbe incontrato, ma sul quale azzeccò con impressionante precisione. Un futuro fatto, per buona parte, di isolamento e di incapacità nel tessere relazioni e nel maneggiare nastri.
Se Maria Lai precipitasse in un condominio qualunque di una città qualunque del presente, scoprirebbe che, nella maggioranza dei casi, le persone non si conoscono affatto tra loro. E per lei sarebbe un’ardua impresa districarsi nella rete di diffidenza, resistenza ed egoismo, e srotolare insieme quel nastro celeste da un balcone all’altro. Qualcuno forse le chiederebbe perché darsi così tanto da fare per legare cose e persone tra loro. I nastri si sfilacciano e anneriscono presto. Altri si asterrebbero dall’esperimento collettivo perché da soli si fa meglio e prima; altri ancora troverebbero da ridire persino sul colore scelto per il nastro.


Sospetto che Maria Lai troverebbe triste, incomprensibile e persino spaventoso il nostro modo di parlarci a distanza o di non parlarci affatto. Di salutarci con parsimonia, di disinteressarci del prossimo e dei luoghi che attraversiamo e che ci ospitano. Di “condividere” su strani supporti smaglianti esistenze e di tenerci per noi fallimenti, obiettivi mancati, quotidiane miserie. Forse, infrangendo il suo consueto garbo e il suo nobile proposito, Maria Lai riavvolgerebbe i ventisette chilometri di nastro celeste tornandosene zitta zitta nel passato. Tornerebbe così a sperimentare nodi e possibili collegamenti tra gli esseri umani.
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E tu, Ape furibonda, conoscevi Maria Lai e soprattutto a chi ti legheresti con un nastro celeste?



